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Cenni Storici

Studi archeologici

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Scritto da Alessandro Viesti
Categoria: Cenni Storici
Pubblicato: 17 Agosto 2010

La località è posta sui modesti rilievi delle Murge, distando circa quindici chilometri dalle mura classiche di Taranto. Sin dai tempi antichi, almeno dal periodo greco, l'area di Monteparano era attraversata da un'arteria di comunicazione di notevole importanza, la cosiddetta "via Salentina", spesso erroneamente confusa con la Via Appia, via quest'ultima che in antico non ha mai interessato la zona del paese. 

A Monteparano si hanno tracce di frequentazione antropica sin dal periodo preistorico. In località "Masseria Barbuzzi" sono stati rinvenuti numerosi coltelli litici in selce risalenti al paleolitico. Non si hanno invece al momento testimonianze che riguardano il periodo messapico, dovendosi quindi ipotizzare la totale assenza di insediamenti nell'area di tipo indigeno, cosa alquanto improbabile dal momento che più a ovest la provincia di Taranto risulta occupata già dal X-IX secolo a.C. da popolazioni messapiche (Masseria Vicentino - Grottaglie, Monte Sant'Elia - Roccaforzata, Scoglio del Tonno, Taranto). L'area di Monteparano è stata sicuramente frequentata in periodo greco, come dimostra la lastra tombale frammentaria, rinvenuta in località Mancini nel 1969, recante un'iscrizione incisa con lettere tardo-antiche: H(I)POKRA.

Sempre risalente ad epoca greca è un tesoretto monetale, ormai disperso, rinvenuto nel 1905 anch'esso in località Mancini. solo due monete sono state recuperate dalla Soprintendenza: uno statere d'argento di Eraclea e uno statere aureo di Taranto. La suddetta località mostra chiaramente una frequentazione in epoca classica ed ellenistica, notandosi in superficie un'alta concentrazione di tegole e ceramica a vernice nera, anche del tipo di Gnathia, il tutto inquadrabile tra il IV e il III secolo a.C.

Poco indagate sono le necropoli, sicuramente numerose ma da tempo preda di scavi clandestini. Negli anni novanta, lungo la provinciale Monteparano-San Giorgio, nei pressi dell'incrocio per Carosino, la Soprintendenza ha indagato una vasta porzione di necropoli, di cui al momento si sa poco essendo ancora in fase di studio il materiale recuperato. Nei pressi del centro abitato, in località San Nicola, erroneamente indicata come area in cui insiste la presenza di una stazione preistorica, dovrebbe posizionarsi l'abitato greco di Monteparano. Ulteriori informazioni saranno rese note dopo che verrà effettuata da parte della Soprintendenza un'accurata campagna di scavo.

Le ultime tracce di presenza umana a Monteparano in età antica risalgono al IV sec. d.C.; oltre tale data si individua un vacuum temporale fino alle prime testimonianze del XIII secolo (vedi Musardo-Talò). Non sembra possibile che si sia verificata l'interruzione della frequentazione dell'area per nove secoli senza soluzione di continuità. Probabilmente le testimonianze archeologiche relative a questo periodo non sono ancora state rinvenute e aspettano inerti sotto terra la loro scoperta.

Il casale di Monteparano

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Scritto da admin
Categoria: Cenni Storici
Pubblicato: 17 Luglio 2008

A partire dal basso Medioevo, in numerose fonti è attestata l'esistenza del casale di Patrello con un ubicazione diversa dall'attuale centro abitato di Monteparano, collocato com'era a circa mezzo chilometro dal campanile della chiesa matrice, in direzione nord-est, là dove oggi si trova la contrada Patrello. Il primo documento che ne restituisce il nome e l'esistenza certa è una pergamena della Biblioteca arcivescovile di Taranto, datata 1259, in cui è registrata una venditio dei fratelli Domenico e Francesco di Patrello. Del XIV secolo sono due pergamene, una del 1327 e l'altra del 1369, si riferiscono a delle donazioni "sitis et positis in loco Patrelli", da parte dei principi di Taranto alla Chiesa di S. Pietro Imperiale. La successione feudale del casale si apre nel 1270, con Goffredo de Patrello, mentre nei cedolari del 1378, è riportato come tenutario del feudo Petrus de Patrello. Sempre nel Trecento si insedia in questa contrada un'altra famiglia feudataria, quella dei Nantoglio, di origine normanna, venuta dalla Francia nel regno di Napoli, al seguito di Carlo I d'Angiò.

I documenti riportano un Nantolio come feudatario di Patrello per la prima volta nel 1370, quando Giovanni di Nantolio riceve l'ingiunzione di Filippo II, principe di Taranto, di far rientrare i suoi vassalli, che hanno lasciato il feudo, con grande danno del feudatario stesso. A Giovanni successe il primogenito Guglielmo, barone di molte terre e castelli e consigliere di Raimondello del Balzo Orsini, principe di Taranto. Ma i Nantoglia hanno oramai fissa dimora a Fragagnano e il casale di Patrello avrà vita grama per i capricci degli emissari del feudatario, sempre peggiori del loro padrone nell'esercitare il governo sui sudditi. L'8 novembre 1452, diviene barone di Monteparano Cola Mattia, secondogenito di Guglielmo, avendo il fratello Jacopo rinunciato alle prerogative proprie del suo status di primo figlio. Intorno al 1460-1461 si colloca la presunta distruzione di Patrello per mano delle truppe di Scanderbeg, il principe albanese, che inviò le sue milizie a portare il guasto nei casali tarantini, i cui feudatari erano alleati di G.A. Orsini, contro Ferdinando I d'Aragona, in lotta col pretendente angioino per la successione al regno di Napoli. Nel 1487, morto Cola Mattia, gli succede il figlio Francesco, il primo della famiglia che prese il nome moderno dell'Antogliecta (poi dell'Antoglietta), come viene nominato nel testo del privilegio del 4 aprile 1497, con cui viene confermato, da re Ferdinando, barone dei casali di Fragagnano e di Patrello. Nel 1513, egli nomina erede il figlio della prima moglie, Diofebo, il quale ebbe a patire un lungo periodo di contese con gli otto fratellastri per la divisione dei beni patrimoniali.

E' in questa contesa familiare che si inserisce la nascita dei Monteparano, casale albanese. Il 10 aprile del 1514, Geronima de Montibus, seconda moglie del barone Francesco, nell'intento di dare un feudo a uno dei suoi otto figli, ottiene dal vicerè di Napoli, Bernardo di Vilamari, di far riabitare il feudo di Patrello. E così giunsero da Fragagnano cinque famiglie di albanesi che presero dimora sulla parte più alta dell'antica Patrello, la contrada di Monteparano, sotto il governo di Giovanni Maria e Lelio, tenutari abusivi del nuovo feudo. Ben presto, però, con l'intervento diretto dell'imperatore Carlo V, Diofebo fu dichiarato legittimo possessore di Monteparano e lo governò sino al 1552, quando si spense, lasciandolo in eredità ai figlio Francesco jr.

Intanto, andava consolidandosi la primitiva colonia, grazie anche all'arrivo di altri esuli albanesi e ben preso questo centro progredì socialmente ed economicamente, anche per la fortuna di avere come feudatario - dopo l'ultimo esponente degli Antoglietta, Guglielmo – un barone discendente dalla nobile famiglia albanese dei Basta, che sarà tenutaria del feudo per quasi due secoli. Niccolò Basta acquistò, - il 3 agosto del 1606 - per ottomila ducati e duecento carlini d'argento, l'intero feudo dì Monteparano da Guglielmo dell'Antoglietta e vi si trasferì insieme a tutti i suoi familiari. Dimora di Niccolò Basta fu il palazzo che gli Antoglietta avevano preso a edificare nel 1514. Morto nel 1611, gli successe il figlio Francesco e poi, nel 1626, il fratello Giorgio, 111 barone di Monteparano. Nel 1644, il feudo viene intestato a Tommaso Basta. Questi sposò la nobile Antonia Personè di Nardò, da cui ebbe tre figli; il feudo, nel 1693, passò al suo terzogenito Giorgio Antonio, avendo i due maschi precedenti scelto gli ordini religiosi.

Il Settecento sarà un secolo alquanto travagliato, poiché Monteparano vedrà l'avvicendarsi di vecchie e nuove famiglie feudatarie: si estingueranno i Basta, a cui succederanno di nuovo gli Antoglietta e poi la nobile famiglia leccese dei Bozzi Corso, che sarà l'ultima a detenere titoli feudali sul casale prima dell'applicazione delle leggi murattiane del 1806. Nel 1733, il casale contava 269 anime. Il barone Giorgio Antonio Basta manifestò il suo legame alla terra di Monteparano anche nelle sue ultime volontà, quando il 9 luglio del 1733, nel dettare il testamento al notaio Francesco Antonio Nasuti di Manduria, dichiarò di voler essere seppellito nella Chiesa di Monteparano, "Io voglio, ordino e comando... di far dare la sepoltura al mio cadavere dentro la Chiesa Parrocchiale di questa Terra". Sempre nell'atto testamentario ordina ai figli di mantenere intatti tutti i beni feudali della terra di Monteparano e che nessuna parte di quelli sia soggetta a vendita, "anche se concorresse legittima causa, e fosse utile ed espediente". Nel 1740 gli successe il figlio Domenico Giuseppe, principe del foro napoletano e sindaco di Taranto nel 1759; si distinse nelle arti militari quando, nel 1734, in soli cinque giorni fece firmare alla città di Taranto filoaustriaca la resa a Carlo III. Venuta a mancare la successione maschile nella linea di Giuseppe Domenico, poiché aveva generato solo due figlie, il fratello Francesco Demetrio fu nominato - con regio decreto - VII barone di Monteparano, mentre il re Carlo III nel 1744, memore dei servigi che i fratelli Basta avevano reso alla corona, onorò Monteparano del titolo di marchesato. A godere di tale privilegio fu Francesco Demetrio Basta. Questi nel 1746 sposò Camilla Capitignano, da cui ebbe una sola figlia, Maria Vincenza. Alla sua morte, così, veniva a mancare, ancora una volta, un discendente in linea maschile. Ma il feudo passò, dopo un contenzioso con lo zio Francesco Demetrio, a Maria Saveria Basta, figlia di Giuseppe Domenico; questa, nel 1776, andò in sposa al marchese di Fragagnano, Francesco Maria dell'Antoglietta che in virtù di tale matrimonio divenne anche marchese di Monteparano. Tale evento, per il casale di Monteparano, dopo quasi due secoli, segnava il ritorno sotto la famiglia dei dell'Antoglietta. Dal matrimonio di :Maria Saveria e Francesco dell'Antoglietta nascono due femmine, Marianna ed Elena. Nel 1784 muore Francesco Maria e lascia erede la figlia primogenita Marianna che, per sanare alcune ingarbugliate situazioni finanziarie della famiglia, sposa lo zio Lelio, il fratello minore del padre. I due coniugi, per i pesanti debiti di cui erano oberati, il 29 giugno del 1794 sottoscrivono un'impegnativa di vendita del feudo di Monteparano con Francesco Saverio Carducci Agustini di Taranto e il 7giugno del 1797, rogante il notaio Giuseppe De Biase di Napoli, gli Antoglietta cedono ai Carducci Agustini il casale di Monteparano per la somma di 66.200 ducati, compreso il titolo marchesale, che però i Carducci Agustini perderanno per una denuncia di Saveria Basta alla regia corte napoletana. Alla morte del marito, ella aveva sposato in seconde nozze il nobile leccese Gaetano Bozzi Corso, al quale Ferdinando IV concede il privilegio di fregiarsi del titolo di marchese di Monteparano. Il marchesato di Monteparano passava allora ai Bozzi Corso Colonna di Lecce, ultimi feudatari del paese. Poi, con la promulgazione delle leggi eversive del 2 agosto 1806, cessava la successione feudale del casale.

Nel 1816, con il passaggio delle municipalità da feudi a decurionati, amministrativamente Monteparano - per il numero insufficiente di abitanti - veniva aggregato al comune limitrofo di Carosino e vi rimase per oltre quindici anni, sino al 1831, quando ottenne l'autonomia.

 

Informazioni tratte da Vincenza Musardo Talò , "Monteparano, antico casale albanese", Lacaita 1991

Albania tarantina

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Scritto da Salvatore Renna
Categoria: Cenni Storici
Pubblicato: 13 Maggio 2008

Giorgio Ionico, Carosino, Faggiano, Fragagnano, Monteiasi, Monteparano e San Marzano, costituiscono un comprensorio nel versante orientale della provincia di Taranto  noto come "Albania Tarantina". Tra la fine del 1400 e la prima metà del 1500, una consistente ondata migratoria di profughi albanesi (sfuggiti all'oppressione del dominio Ottomano) sotto la guida di Giorgio Castriota detto Skanderberg, oltrepassò l'Adriatico giungendo nell'allora Regno delle due Sicilie. 

In Puglia si stanziarono nella Capitanata e nel tarantino, portando con sé le espressioni della propria etnia: la lingua, la religione, i canti e le danze, le usanze e i costumi. In tali centri, i cui abitanti seguivano il rito greco fino al XVII secolo, gli albanesi vissero indisturbati secondo i loro costumi, perché rare furono le ingerenze degli abitanti indigeni. In seguito però, pur conservando gli usi ed i costumi nazionali, oltre alla lingua ed ai riti del loro culto, col passare del tempo essi finirono con l'assimilarsi, fino a quando anche la lingua albanese si spense (fine '800). A differenza delle consimili località calabre e della Lucania, dove le tradizioni, la lingua ed in parte il rito sono rimasti intatti e ben custoditi, quelle tarantine hanno praticamente perso l'identità; solo San Marzano, oggi, conserva tracce della cultura albanese e la lingua ancora diffusamente parlata dai più anziani e compresa un po' da tutti. Fragagnano manifestò incompatibilità con gli abitanti indigeni e gli albanesi furono mandati altrove; Monteparano nascerà proprio dalla fuoriuscita di cinque famiglie albanesi dimoranti nel feudo di Fragagnano. Faggiano, come San Marzano, ha conservato molte usanze albanesi (abito, acconciatura, danze, banchetto nuziale) fino ai primi anni del '900. San Giorgio Ionico, Monteiasi e Carosino non conservano tracce di questa cultura, se non in alcuni cognomi tipici albanesi. Oggi è possibile ritrovare tracce, sia pure molto rare, di quell'antica cultura nella vita di tutti i giorni, e soprattutto nelle vicende più importanti della vita sociale, matrimoni, lutti ecc. In particolare assai significativi  risultano i riti nuziali e religiosi. Ad esempio la festa di San Giuseppe, particolarmente sentita e vissuta in questi centri, ripropone l'antico culto del fuoco, che si manifesta con i falò che i devoti preparano in onore del santo.

Monteparano nel 1901

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Scritto da Salvatore Renna
Categoria: Cenni Storici
Pubblicato: 13 Marzo 2008

Era una Monteparano ben diversa da oggi, quella dei primi anni del ‘900. Una Monteparano che, pur contando meno persone, era molto più affollata. Erano affollate le case, dove la maggior parte delle 400 famiglie del tempo viveva nei pochi metri quadrati dell’abitazione (spesso una sola stanza, qualche volta due), era affollata la piazza al mattino presto, dove la maggior parte dei giovani cercava la “giornata”. Il lavoro era poco e a voler lavorare erano in tanti, per questo le paghe scendevano e non sempre bastavano. All’inizio del secolo a Monteparano c’erano venti-trenta famiglie di proprietari, qualche bottegaio e tanti “campagnoli”. I primi erano la “classe dirigente” del paese, spesso analfabeti o con qualche anno di scuola elementare, possedevano però dei terreni e davano lavoro “a giornata”. Erano loro che votavano e sedevano in Consiglio Comunale, le contrapposizioni tra maggioranza e minoranza erano più fondate su motivazioni personali che su diversità di idee o di condizione sociale.

I monteparanesi allora erano circa millequattrocento. Il censimento del 1901 ne aveva contati per l’esattezza 1409, anche se di questi ben centododici risultavano temporaneamente assenti, probabilmente emigrati in cerca di lavoro in qualche parte del Regno.

Il censimento si svolse secondo le indicazioni del "Piano Topografico del Comune di Monteparano", realizzato nel novembre del 1900 e allegato ad una delibera della Giunta Municipale che divideva il territorio comunale in due sezioni. 

Nella prima sezione furono comprese le vie denominate Sannicola, Consolare e Nuova; nella seconda le vie denominate Garibaldi, Malvese, Varese e Piazza. Per coordinare il lavoro del censimento venne istituita una Commissione Comunale, che oltre al Sindaco e ai membri della Giunta Municipale comprendeva il medico condotto, dr. Nicola Gallo, e il maestro elementare Alessandro Caputo. Il lavoro materiale di consegna delle schede, e probabilmente anche di compilazione della maggior parte di esse dal momento che buona parte della popolazione era analfabeta, fu svolto da n. 2 commessi del censimento, nominati dal Sindaco su proposta della Commissione. Si trattava di Angelo Manigrasso di anni 30 e di Gaetano Fornaro di anni 29, entrambi di condizione "scribente".

La mappa catastale, redatta tra la fine dell'Ottocento e i primissimi anni del Novecento, relativa al centro abitato, offre una visione d'insieme dello sviluppo urbano di Monteparano nel corso dei tre secoli precedenti. Nel 1901, all'epoca del IV censimento della popolazione, vi erano 67 abitazioni nella via Consolare (che si prolungava per un pezzo dell'attuale via Roccaforzata), 62 in via Malvese, 45 in via Garibaldi, 49 nella via Nuova, 51 in Piazza Castello, 46 in via Varese e ben 87 in via Sannicola (che allora comprendeva l'attuale via San Nicola e via XXIV Maggio fino a via Roma).

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