Il piatto tipico della tradizione di san Giuseppe è la pasta chiamata "massa". Da un impasto di farina bianca, semola e acqua si ricava la "laina" (le tagliatelle) che si lascia asciugare al sole su tavole di legno ("tavulieri") o sopra i "cannizzi" per un paio di giorni. Questa asciugatura è necessaria per permettere alla pasta di mantenersi intatta per almeno otto giorni. E' una preparazione collettiva, che richiede l'aiuto di molte persone e, soprattutto l'occhio vigile di qualche donna anziana, molto esperta e attenta, affinché si ottenga un buon risultato. La sera della vigilia (18 marzo) comincia la fase della cottura, che va avanti per tutta la notte per concludersi all'alba del giorno dedicato al Santo.

La cottura della massa è forse il momento culminante di tutto l'avvenimento: conserva le caratteristiche di un rito, avviene nelle antiche "catare" e segue delle regole ben precise che nella vita quotidiana sono ormai completamente in disuso. La catara si riempie di acqua e si pone sul fuoco, si aggiunge un bicchiere di acqua marina (quella che fuoriesce dalle cozze), e si porta a ebollizione. A questo punto si versa la laina, ma quanta? Tanta fino a quando il "lainaturu", immerso nella catara, non si man­terrà in equilibrio perfetto. A fine cottura la catara si porta davanti all'altarino ormai pronto e ai piedi dei sette scalini, se ne versa tutto il contenuto, compresa l'acqua, nella "spunlatora". Si passa quindi a condire la massa con cozze crude, pepe e olio di S. Giuseppe. La "spunlatora" così pronta si copre con il tavoliere e quando sta per arrivare un'altra catara di massa, per essere condita, si sostituisce la "spunlatora" piena con una vuota e così via: una stanza della casa è riservata per accogliere questi grandi contenitori colmi di massa calda e profumata di spezie.